Dal furto dei sampietrini alla distruzione delle spiagge
di Italiano alle Canarie
Le autorità locali lanciano l’allarme: i visitatori rubano le pietre della città per vantarsi con un “souvenir” insolito.
Alcuni turisti sembrano pronti a tutto pur di portare a casa il “souvenir migliore”. Dopo aver saccheggiato spiagge incantevoli portandosi via sabbia, rocce e conchiglie, ora l’allarme scatta in un centro storico riconosciuto come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, dove i visitatori stanno letteralmente portando via i sampietrini.
A denunciare la situazione è Franky Demon, assessore allo Spazio Pubblico della città di Bruges (Belgio), spesso definita la “Venezia del Nord” per via della sua rete di canali navigabili che attraversano diversi punti del centro storico: “I sampietrini stanno scomparendo”, soprattutto in zone ad alta affluenza turistica come il Minnewater, il Vismarkt, la Markt e il Gruuthusemuseum.
Secondo quanto riportato, ogni mese vengono trafugate tra le 50 e le 70 lastre di pietra, provocando non solo un aggravio di lavoro e di costi per il Comune, ma anche pericoli per la sicurezza dei pedoni.
L’assessore lancia un appello al senso civico: “Chiediamo rispetto. Chi cammina per Bruges sta calpestando secoli di storia. Lasciate quei sampietrini dove sono.”
Le autorità locali hanno già annunciato che denunceranno formalmente chiunque venga sorpreso a rubare elementi del selciato. Il reato può essere punito con pene fino a cinque anni di carcere e multe fino a 3.000 euro.
Il caso belga mostra la via: multe salate e carcere per chi danneggia il bene comune.
L’episodio che arriva da Bruges, dove i turisti si portano via i sampietrini dalle vie del centro come fossero souvenir qualsiasi, è solo l’ennesimo sintomo di un fenomeno globale: un turismo che non si limita a visitare, ma consuma, invade, sfrutta e spesso danneggia.
Bruges, città medievale dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, non è certo la sola vittima. Alle Canarie – arcipelago da anni sotto pressione per l’eccessiva saturazione turistica – si assiste a dinamiche simili: spiagge deprivate della loro sabbia, ambienti naturali compromessi, centri storici trasformati in fondali per selfie e case per residenti sostituite da alloggi vacanzieri.
Emblematico è il caso della cosiddetta “spiaggia dei pop corn” di Fuerteventura, ufficialmente nota come Playa del Bajo de la Burra (nota anche come Popcorn Beach), dove i turisti si portano via i frammenti di corallo bianco che danno nome alla località, contribuendo al suo progressivo impoverimento naturale nonostante i divieti espliciti. Questo comportamento, apparentemente innocuo, ha un impatto concreto sull’ecosistema e testimonia un atteggiamento predatorio che si ripete in contesti differenti.
Il denominatore comune è uno solo: la mancanza di rispetto e la mercificazione del territorio. Dove una volta c’era un patrimonio da conoscere e preservare, oggi ci si sente autorizzati a prendere, scattare, mostrare, e poi passare oltre.
Quello che succede a Bruges, come ciò che avviene a Lanzarote, Fuerteventura o Gran Canaria, racconta la stessa storia: una forma di colonialismo moderno che si traveste da vacanza.
Le sanzioni – che si tratti di multe o anni di carcere – sono importanti, ma non bastano. Serve un cambio di paradigma, in cui chi viaggia sia anche responsabile del luogo che attraversa. Perché ogni selciato, ogni pietra, ogni spiaggia è parte di una storia che non ci appartiene, ma che abbiamo il dovere di rispettare.
Alle Canarie, dove gli effetti del turismo predatorio sono ormai sotto gli occhi di tutti, si potrebbe prendere esempio proprio da casi come quello belga. In Belgio, chi ruba elementi storici o urbani può essere punito con multe e carcere. Tuttavia, introdurre misure simili nell’arcipelago presuppone qualcosa che attualmente manca in modo cronico: un controllo del territorio credibile ed efficace.
Qui il problema non è solo normativo, ma profondamente politico e strutturale. Da un lato, la volontà politica è spesso tiepida, quando non del tutto assente, anche per timore di scontentare interessi consolidati legati al turismo di massa. Dall’altro lato, le risorse economiche non mancano affatto: ogni anno il turismo porta nelle casse pubbliche un fiume di denaro che potrebbe essere, almeno in parte, reindirizzato verso la tutela del patrimonio naturale e storico. Ma ciò non avviene.
Questo difetto – la distanza tra ciò che si potrebbe fare e ciò che si sceglie di fare – è arcinoto alle Canarie e si ripete in vari ambiti della vita pubblica: dalla sanità ai trasporti, dall’urbanistica alla gestione dei rifiuti. È il riflesso di una strategia miope, che privilegia l’immediato e sacrifica il futuro.
Eppure, senza una protezione reale e concreta del territorio, anche il modello economico basato sul turismo è destinato a implodere. Perché un luogo svuotato della sua autenticità e degradato dalla sua stessa fama, prima o poi, smette di essere attraente. E allora sì che il prezzo da pagare sarà molto più alto.