Educare o orientare? Quando la sostenibilità diventa veicolo di messaggi istituzionali confezionati.

Di Italiano alle Canarie

Una nuova iniziativa istituzionale per formare influencer

Il Governo delle Canarie ha lanciato un programma sperimentale dal titolo Influencers 3C (Consapevolezza, Impegno e Cambiamento), in collaborazione con due università pubbliche dell’arcipelago: l’Università di La Laguna (ULL) e l’Università di Las Palmas de Gran Canaria (ULPGC). L’obiettivo dichiarato è quello di formare “influencer sostenibili” tra i giovani canari, capaci di promuovere attraverso i social network comportamenti virtuosi legati agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (noti con l’acronimo SDG, dall’inglese Sustainable Development Goals), come il consumo responsabile, l’inclusione sociale, la parità di genere, l’educazione digitale e l’economia circolare.

Il percorso si articola in moduli teorici e pratici, comprendendo lezioni sull’uso strategico delle piattaforme digitali (Instagram, TikTok, Bluesky), sulla gestione delle comunità virtuali, oltre ad attività applicate. Tra queste ultime spiccano la partecipazione al progetto socioeducativo “Re-Conéctate” per la prevenzione delle tecno-dipendenze e l’organizzazione di mercatini del baratto come strumenti di promozione dell’economia del riuso e della sostenibilità quotidiana.

Attualmente in fase pilota con un primo gruppo di cinque partecipanti all’Università di La Laguna, l’iniziativa – come dichiarato dalla coordinatrice del progetto, Itahisa Pérez – mira a estendersi progressivamente a tutte le isole dell’arcipelago, con l’ambizione di creare una rete di giovani comunicatori sensibili, informati e impegnati.


Dove finisce la formazione e dove inizia il condizionamento?

Fin qui, la notizia. Ma dietro l’apparenza di una proposta al passo coi tempi, si cela un interrogativo fondamentale: dove finisce la formazione e dove comincia il condizionamento culturale?

Viviamo in un’epoca in cui il pensiero critico è sempre più fragile, rimpiazzato da slogan, contenuti lampo e “verità” preconfezionate. In questo contesto, formare influencer con il patrocinio istituzionale non appare affatto neutrale. Anzi, si inserisce in una tendenza più ampia all’addomesticamento delle coscienze, dove le figure carismatiche selezionate non sono stimolate a dubitare, ma a veicolare messaggi approvati e ben confezionati.

Un contesto fragile: il caso delle Canarie

Le Canarie, non a caso, presentano uno dei più bassi livelli di istruzione dell’Unione Europea. Una realtà spesso semplificata, dove il consumo culturale si riduce alle forme più immediate e superficiali. In questo contesto, una strategia come quella degli “influencer sostenibili” rischia di accentuare la passività, generando una generazione che non riflette, ma replica contenuti ritenuti “positivi” semplicemente perché condivisi da volti popolari e istituzionalmente legittimati.

Il programma parla di “creare agenti del cambiamento”, ma rischia di trasformarsi in una fabbrica di testimonial governativi, dove i giovani non vengono istruiti a pensare in autonomia, ma addestrati a comunicare secondo linee guida.

Il vero problema: l’omologazione delle coscienze

Il punto critico non è la sostenibilità in sé, né tantomeno l’uso dei social come strumenti. Il vero problema è l’uso strategico delle emozioni, delle icone mediatiche e dell’apparente spontaneità per veicolare consenso. Come se la coscienza ecologica dovesse necessariamente passare per un linguaggio semplificato, emotivo, facilmente assimilabile e mai scomodo.

In una società dove sempre più persone fanno ciò che viene loro suggerito senza chiedersi perché, forse il vero passo avanti sarebbe educare al dubbio, all’analisi, alla complessità. Ma tutto questo – va detto – non si presta bene a un reel da 30 secondi né a un algoritmo che premia l’omologazione.