Un viaggio tra le origini, l’espansione e la caduta di uno degli imperi più vasti e controversi della storia moderna.

Di Italiano alle Canarie

Nel corso della storia, solo pochi imperi hanno potuto competere con la vastità e la longevità dell’Impero romano. E tra questi, l’Impero spagnolo merita un posto d’onore: seppur nato secoli dopo, fu il primo impero veramente globale della storia moderna, capace di estendersi su tutti e cinque i continenti. A differenza di Roma, la cui lingua – il latino – rimase patrimonio di un’élite colta, la Spagna lasciò in eredità lo spagnolo come lingua viva, parlata oggi da centinaia di milioni di persone. Una traccia ancora visibile nel cuore pulsante dell’America Latina.

Ma come nacque, crebbe e infine crollò uno degli imperi più estesi della storia?

La nascita dell’Impero: da Cristoforo Colombo alla conquista del Nuovo Mondo

L’Impero spagnolo affonda le sue radici nel 1492, anno simbolico della conquista e del viaggio di Cristoforo Colombo, finanziato dai Re Cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona. Quella traversata verso le Indie portò invece alla scoperta del continente americano e diede inizio a una febbrile fase di esplorazioni, conquiste e colonizzazioni.


Nel giro di pochi decenni, la Spagna si assicurò il controllo di vasti territori: dall’Impero Azteco (Messico) a quello Inca (Perù), passando per i Caraibi, l’America Centrale e buona parte del Sud America. L’arrivo dei conquistadores fu accompagnato da una feroce evangelizzazione e dall’imposizione del sistema coloniale, che portò alla nascita del cosiddetto Vicereame spagnolo delle Indie.

L’apice dell’Impero e il dominio transoceanico

Tra il XVI e il XVII secolo, la Spagna divenne la prima potenza globale, con territori che si estendevano su tutti e cinque i continenti. Il flusso d’argento e oro proveniente dalle miniere del Perù e del Messico finanziava guerre europee e alimentava un’economia coloniale basata sullo sfruttamento delle popolazioni indigene e degli schiavi africani.

Il sistema amministrativo coloniale si reggeva su due grandi vicereami: Nuova Spagna (con capitale a Città del Messico) e Perù (con capitale a Lima), poi affiancati da altri due vicereami creati in epoca borbonica per migliorare il controllo imperiale: il Vicereame del Río de la Plata, istituito nel 1776 con capitale Buenos Aires, che comprendeva gli attuali territori di Argentina, Uruguay, Paraguay e Bolivia; e il Vicereame della Nuova Granada, istituito nel 1717 (ricostituito definitivamente nel 1739) con capitale Bogotá, che includeva le moderne Colombia, Ecuador, Panamá e Venezuela.

Il lento declino: crisi interna e ribellioni coloniali

Già nel XVIII secolo, l’Impero mostrava i primi segni di fragilità. Le riforme borboniche cercarono di modernizzare la gestione delle colonie, ma finirono spesso per accentuare il malcontento tra i criollos, ovvero i discendenti di spagnoli nati in America, esclusi dai principali incarichi amministrativi.

L’eco della Rivoluzione francese, le guerre napoleoniche e l’invasione della Spagna nel 1808 fecero da detonatore: le colonie iniziarono a ribellarsi, chiedendo prima autonomia e poi l’indipendenza. Era l’inizio della fine.

La fine dell’Impero: la valanga delle indipendenze

Nel corso del XIX secolo, uno dopo l’altro, i territori americani si sganciarono dalla madrepatria. Le guerre d’indipendenza, spesso guidate da figure carismatiche come Simón Bolívar, José de San Martín o Miguel Hidalgo, portarono alla dissoluzione dell’Impero spagnolo nel continente americano.

La Spagna mantenne il controllo solo su Cuba, Porto Rico e le Filippine, perdendoli definitivamente dopo la guerra ispano-americana del 1898.

L’eredità di un impero scomparso

Oggi l’Impero spagnolo non esiste più, ma la sua impronta è rimasta profonda: nella lingua (lo spagnolo è la seconda lingua più parlata al mondo per diffusione internazionale). A differenza del cinese mandarino o dell’hindi – lingue con un altissimo numero di madrelingua ma fortemente frammentate in dialetti regionali o con sistemi di scrittura complessi e poco esportabili – lo spagnolo è diventato una lingua globale, condivisa da centinaia di milioni di persone e parlata quotidianamente in tutto il continente americano. Non solo: lo spagnolo, lingua sorella dell’italiano per radici latine comuni, si distingue anche per l’alto grado di affinità lessicale e grammaticale con la nostra lingua, rendendola una delle più accessibili per gli italiani.

Ma quella stessa eredità porta con sé anche ferite ancora aperte: lo sterminio delle popolazioni indigene, lo sfruttamento delle risorse, la repressione delle identità locali.

Le date della libertà: quando i Paesi americani si resero indipendenti dalla Spagna

Ecco l’elenco dei Paesi latinoamericani e la rispettiva data di indipendenza dalla Spagna:

Argentina – 9 luglio 1816
Bolivia – 6 agosto 1825
Cile – 12 febbraio 1818
Colombia – 20 luglio 1819
Costa Rica – 15 settembre 1821
Cuba – 10 ottobre 1898
Repubblica Dominicana – 27 febbraio 1844
Ecuador – 24 maggio 1822
Guatemala – 15 settembre 1821
Honduras – 15 settembre 1821
Messico – 16 settembre 1821
Nicaragua – 15 settembre 1821
Panamá – 28 novembre 1821
Paraguay – 14 maggio 1811
Perù – 28 luglio 1821
Uruguay – 25 agosto 1825
Venezuela – 5 luglio 1811

Conclusione

L’Impero spagnolo, nato dal sogno di una potenza globale, finì per sgretolarsi sotto il peso delle sue contraddizioni: sfruttamento coloniale, repressione delle identità indigene, rigidità amministrativa e disuguaglianze strutturali. Quella lunga scia di indipendenze non solo segnò la fine di un’epoca, ma anche l’inizio della costruzione di nuove identità nazionali che, ancora oggi, continuano a rivendicare dignità, memoria e autodeterminazione.

Una prova evidente di queste ferite mai completamente rimarginate è la  contestazione attorno al 12 ottobre, giorno in cui la Spagna celebra il suo passato imperiale con la Festa Nazionale.

In molti Paesi latinoamericani, quella data è vissuta invece con disagio o rifiuto, vista non come l’inizio di un incontro tra civiltà, ma come l’avvio di una lunga stagione di violenze, sopraffazioni e cancellazione culturale.

Un giorno che genera “mal di pancia” perché riapre, ogni anno, una questione ancora irrisolta: come conciliare la memoria storica con la giustizia e il riconoscimento delle identità negate.