Di Italiano alle Canarie

Nonostante le Canarie vengano descritte come un grande polo di attrazione turistica, la realtà sociale che si cela dietro l’immagine patinata delle spiagge dorate e del “miglior clima del mondo” è ben diversa. Le campagne pubblicitarie e le narrazioni mediatiche mostrano solo una facciata di benessere, ma dietro le cartoline perfette c’è una popolazione che, in larga parte, sopravvive con salari bassi, precarietà lavorativa e un costo della vita che cresce più velocemente dei redditi.

Molti, soprattutto tra i visitatori europei, faticano a credere che l’Arcipelago, meta sognata del turismo internazionale, sia in realtà una delle regioni più povere della Spagna e, di riflesso, anche d’Europa. Eppure i numeri parlano chiaro: il contrasto tra il lusso delle zone turistiche e la realtà quotidiana di chi vive nell’entroterra o nelle periferie urbane è sempre più evidente.

Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Canario di Statistica (ISTAC), il 31,2% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale. Si tratta di oltre settecentomila persone che vivono tra precarietà, disoccupazione e salari che spesso non superano i mille euro al mese. Pur rappresentando il valore più basso degli ultimi anni, le Canarie restano la quarta comunità autonoma spagnola con i peggiori indici di povertà, un primato che stride con la narrativa turistica di prosperità.

Una richiesta urgente per una regione in difficoltà

La consigliera per il Benessere Sociale, Candelaria Delgado, ha definito «insufficienti» i 30 milioni di euro stanziati dal Governo centrale per l’Arcipelago, dove un terzo della popolazione vive in condizioni di difficoltà economica e molti nuclei familiari dipendono dagli aiuti alimentari o da sussidi temporanei.


Il Consiglio dei Ministri spagnolo ha approvato la concessione diretta di 30 milioni di euro destinati a finanziare il Programma di lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Tuttavia, la rappresentante del Governo regionale ha chiesto di triplicare l’investimento, portandolo a 90-100 milioni di euro, per garantire un sostegno reale e continuativo alle persone più vulnerabili e rafforzare i servizi sociali locali, spesso al limite delle risorse.

Delgado ha inoltre sottolineato la necessità che i fondi arrivino con rapidità, poiché le procedure burocratiche finiscono spesso per rallentare l’intervento proprio dove l’urgenza è maggiore. In molti municipi, infatti, gli assistenti sociali gestiscono centinaia di casi con mezzi limitati, e le liste d’attesa per ottenere un aiuto si allungano di mese in mese.

Quanto valgono davvero 30 milioni?

Con questi numeri, i 30 milioni appaiono poco più che un cerotto — qualcuno direbbe una vergogna nazionale travestita da elemosina — rispetto alla profondità del problema. Anche dividendo in modo mirato, l’impatto economico è minimo rispetto al fabbisogno reale di chi vive in povertà.

Popolazione canaria (stima): circa 2,25 milioni di abitanti.

Persone a rischio (31,2%): circa 702.000 individui.

Se si considerano i 30 milioni sull’intera popolazione, si tratta di circa 13 euro a testa all’anno.

Limitando il calcolo alle persone a rischio, l’importo equivale a circa 42,7 euro a persona all’anno, cioè poco più di 3,6 euro al mese.

Nell’ipotesi operativa del Governo, che prevede circa 50.000 beneficiari diretti, il contributo medio salirebbe a circa 600 euro all’anno, pari a 50 euro mensili.

Se l’investimento fosse triplicato (90 milioni)

Per ciascuna persona a rischio: ≈ 128 € l’anno (10,7 €/mese).

Su 50.000 beneficiari diretti: 1.800 € l’anno (150 €/mese).

Che cosa si “compra” davvero

Anche assumendo 50 €/mese, parliamo di un sostegno molto modesto: può coprire una parte della spesa alimentare di base o delle bollette essenziali, non un percorso di uscita stabile dalla povertà.
Con 90 milioni, 150 €/mese sono più visibili, ma restano insufficienti se non accompagnati da politiche strutturali: accesso alla casa, aumento dei salari minimi, incentivi per l’occupazione stabile, formazione professionale, salute mentale e servizi sociali di prossimità.

Senza un approccio integrato, il rischio è che questi fondi si disperdano in mille microprogetti, senza lasciare traccia duratura nella vita delle persone. È il tipico effetto di una politica tampone, che cerca di contenere il disagio senza affrontarne le cause.

Alla fine, come la si voglia girare, resta un’elemosina istituzionale, più che altro un atto di propaganda utile a mostrare un’apparente azione politica e a mettersi la coscienza a posto, mentre nella realtà dei fatti non cambia nulla: una misura d’emergenza che non intacca le radici della povertà né restituisce dignità a chi vive ai margini.

Finché la lotta alla povertà sarà trattata come un capitolo di spesa e non come una priorità civile e morale, le Canarie continueranno a oscillare tra il paradiso promesso e l’indigenza reale.