✍️ Italiano alle Canarie

L’obbligo mascherato della “diversità linguistica”

Il Governo di Pedro Sánchez torna a sventolare la bandiera della cosiddetta “diversità linguistica”, imponendo ai medici corsi volontari di basco o catalano che, nonostante la definizione, saranno sottoposti a ispezioni e controlli periodici. Una misura che, nella sostanza, trasforma la volontarietà in un obbligo mascherato.

Secondo il PSOE, la capacità di esprimersi nella lingua propria del territorio migliorerebbe la qualità dell’assistenza, la fiducia del paziente e l’efficacia dei trattamenti. Per questo motivo, il partito socialista ha presentato accodi con le Università  e associazioni professionali per introdurre piani formativi destinati al personale sanitario delle regioni con lingua co‑ufficiale.

Tra rispetto linguistico e strategia politica

L’obiettivo dichiarato è “migliorare la comunicazione e l’umanità nel rapporto medico‑paziente”. Tuttavia, dietro questa facciata di rispetto culturale si intravede una strategia politica volta a compiacere i partiti indipendentisti che sostengono la fragile maggioranza di governo.

La realtà è che, tanto nei Paesi Baschi quanto in Catalogna, la popolazione conosce e utilizza perfettamente il castigliano, lingua ufficiale dello Stato e materia obbligatoria in tutte le scuole. L’articolo 3 della Costituzione spagnola è inequivocabile: “Tutti gli spagnoli hanno il dovere di conoscerla e il diritto di usarla.” Tale obbligo di studio e uso del castigliano è implementato nei programmi scolastici da diversi decenni, garantendo che ogni cittadino, fin dall’infanzia, impari e utilizzi la lingua ufficiale dello Stato senza difficoltà di comunicazione.


Nonostante ciò, il PSOE insiste nel promuovere “piani di formazione linguistica” in collaborazione con le comunità autonome dove esiste una lingua co‑ufficiale. Corsi che dovrebbero essere gratuiti e teoricamente volontari, ma che saranno oggetto di valutazioni e controlli periodici per verificarne la partecipazione.

Un paradosso burocratico

Nasce così un evidente paradosso: corsi presentati come facoltativi ma monitorati attraverso ispezioni che ne certificano la frequenza. Un linguaggio burocratico che cela un sistema di pressione e di selezione professionale.

Si tratta dell’ennesimo passo nel crescente “delirio linguistico” che attraversa la politica spagnola. In Catalogna, ad esempio, Junts, piccolo partito indipendentista catalano che con i suoi 7 seggi al Congresso dei Deputati sostiene la maggioranza di governo, ha proposto di imporre alle imprese con più di 250 dipendenti l’obbligo di conoscere e usare il catalano.

Quando la lingua diventa arma ideologica

Mentre il Paese affronta emergenze ben più gravi — dalla crisi sanitaria ai salari stagnanti, passando per la disoccupazione giovanile, la povertà crescente, la precarietà abitativa, l’inflazione e l’emigrazione dei giovani qualificati — il Governo sembra concentrarsi sulla politicizzazione delle lingue, trasformando uno strumento di identità culturale in un’arma di divisione ideologica.

La Spagna, che da decenni forma cittadini perfettamente bilingui, non ha un problema di comunicazione tra medico e paziente. Ha un problema di coerenza politica e di realtà negata.