✍️ Italiano alle Canarie

Negli ultimi anni, il tema delle pensioni non contributive e della povertà cronica alle Canarie ha assunto una rilevanza crescente. Nonostante l’aumento del turismo e la ripresa economica, migliaia di cittadini restano intrappolati in una condizione di precarietà che non accenna a diminuire.
Questo articolo analizza il recente appello del Governo canario, ma anche le contraddizioni di un sistema che continua a produrre disuguaglianze strutturali.

L’annuncio Istituzionale

L’assessora al Benessere Sociale del Governo delle Canarie, Candelaria Delgado, ha chiesto allo Stato spagnolo una riforma urgente della Legge sulla Sicurezza Sociale affinché le integrazioni della Renta Canaria de Ciudadanía (RCC) destinate ai titolari della pensione non contributiva (PNC) non vengano considerate come redditi aggiuntivi. Secondo Delgado, tale classificazione genera un effetto perverso: le persone più vulnerabili vengono penalizzate per aver ricevuto un aiuto che, in teoria, dovrebbe migliorare le loro condizioni.

L’obiettivo, ha spiegato, è rompere il circolo vizioso della povertà istituzionalizzata, che costringe migliaia di pensionati canari a vivere con risorse minime, ben al di sotto della soglia di dignità economica. Una condizione che non riguarda solo il reddito, ma anche la salute, l’accesso ai servizi di base e la qualità della vita. Attualmente, secondo gli ultimi dati dell’INE, l’inflazione nelle Canarie supera il 3%, e gli affitti sono aumentati del 25% in cinque anni: due fattori che incidono fortemente sul potere d’acquisto delle famiglie più vulnerabili.

Delgado ha presentato la sua richiesta durante la Conferenza Settoriale per l’Infanzia, svoltasi a Madrid, nella quale si sono affrontati temi come i processi di adozione, la protezione dei minori vulnerabili e le strategie regionali contro la povertà infantile. In quell’occasione, ha sottolineato che «nessun minore può crescere con serenità in un contesto familiare segnato dalla miseria e dall’incertezza economica».


Pensioni non contributive e sostegni di facciata

L’assessora ha ricordato che «molte delle persone che percepiscono la PNC sono disabili con minori a carico» e che, sebbene il Governo canario abbia previsto un aiuto aggiuntivo di 400 euro annuali a partire dal 2026 — poco più di un euro al giorno, dunque meno di un’elemosina mascherata da aiuto — tale misura «non è sufficiente a invertire la situazione di povertà».

Quattrocento euro all’anno, in un contesto di inflazione persistente e di rincari continui su beni essenziali come alimenti, elettricità e affitti, rappresentano poco più che una goccia nel deserto.

Si tratta di un palliativo politico, utile forse a riempire un comunicato stampa o a mostrare buona volontà istituzionale, ma privo di reale impatto sociale. Non si può combattere la povertà con mance periodiche, ma serve una riforma che restituisca respiro economico, non briciole annuali.

La questione, quindi, non è solo economica ma anche etica.

Il sistema ormai è noto: mantenere la facciata di un aiuto, piuttosto che affrontare il problema alla radice. Le misure simboliche alimentano la retorica dell’assistenza, ma non restituiscono dignità a chi vive ai margini. Dietro ogni cifra ci sono vite reali che si consumano tra burocrazia, precarietà e disillusione.

Fondi insufficienti e riforme strutturali

Delgado ha criticato con forza il fatto che le Canarie ricevano solo 30 milioni di euro dallo Stato per la lotta alla povertà, quando «ne spetterebbero 80 milioni». Una differenza abissale che si traduce in politiche dimezzate e in famiglie lasciate indietro.

Tuttavia, anche 80 milioni di euro rappresentano poco più che briciole insufficienti rispetto all’entità del problema: una cifra che, pur quasi triplicata, non basterebbe comunque a garantire una vita dignitosa ai migliaia di pensionati e famiglie in condizione di vulnerabilità.

Il problema non è solo la quantità di denaro, ma come viene gestito. Molti fondi restano intrappolati tra vincoli amministrativi, ritardi nei pagamenti e sovrapposizioni di competenze. Così, anche quando arrivano, gli aiuti si perdono nel labirinto burocratico e raramente raggiungono in tempo chi ne ha davvero bisogno.

Il nodo politico e morale resta quindi lo stesso: non bastano richieste o aiuti parziali, serve una riforma strutturale profonda che trasformi la povertà cronica in inclusione reale. Finché le misure resteranno cosmetiche, la frattura tra retorica istituzionale e realtà quotidiana continuerà ad allargarsi.

L’aiuto di 400 euro, in questo quadro, è solo la metafora di un sistema che si limita a gestire la povertà invece di superarla.

Una questione di dignità collettiva

Il dibattito aperto da questa richiesta va oltre il piano economico. Solleva interrogativi sulla responsabilità morale delle istituzioni e sulla loro capacità di garantire un livello minimo di benessere. Cosa significa «vivere con dignità» in una società che accetta che i suoi anziani sopravvivano con meno di 500 euro al mese?

Quale futuro si può costruire se l’aiuto pubblico resta confinato a gesti simbolici e discontinui?

Il rischio è che la povertà si trasformi in una condizione permanente e normalizzata, dove l’assistenza diventa la nuova forma di sopravvivenza.

Per evitarlo servono politiche coraggiose, meno compiacenti e più orientate alla giustizia sociale. Le Canarie, spesso presentate come «isole fortunate», devono confrontarsi con una realtà che di fortunato ha ben poco per chi vive ai margini del sistema.

In ultima analisi, questa vicenda non riguarda solo la politica, ma la dignità collettiva: riconoscere che la povertà non si risolve con bonus simbolici, ma con una visione strutturale e umana della società. Servono decisioni coraggiose, capaci di rimettere al centro la persona e non il bilancio.