I sindacati UGT e CCOO chiedono un aumento dello SMI fino a 1.273 euro lordi per compensare l’eventuale applicazione dell’IRPF, con un incremento del 7,5% che ricadrebbe sui costi delle imprese.

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Due scenari di aumento

Alla base di questi due scenari c’è la volontà di evitare che si ripeta quanto accaduto nel 2025, ovvero che una parte dei percettori dello SMI si è trovata a pagare l’IRPF perché la soglia di esenzione non era stata adeguata in tempo, con il risultato che l’aumento nominale del minimo si è tradotto in un miglioramento reale più limitato.

Per questo i sindacati e il Ministero del Lavoro ragionano ormai sempre in termini di «SMI netto equivalente».

Ovvero: prima si fissa l’obiettivo (raggiungere il 60% del salario medio netto) e poi si ricalcola verso l’alto o verso il basso lo SMI lordo a seconda che sia previsto o meno il prelievo fiscale.


La proposta sindacale presenta due possibilità:

1.273 euro lordi mensili (17.822 euro annui) se l’SMI dovesse essere assoggettato all’IRPF.

1.216 euro lordi mensili, aumento del 2,7%, se invece l’SMI restasse esente da IRPF.

L’obiettivo è mantenere il livello di retribuzione netta stabilito dalla Carta Sociale Europea, che richiede che il salario minimo netto equivalga al 60% del salario medio netto.

Cosa è accaduto lo scorso anno

L’anno precedente, lo SMI calcolato dagli esperti per il 2025 includeva già la previsione dell’IRPF. Gli esperti avevano indicato uno SMI lordo di 16.576 euro annui, partendo dall’ipotesi che la soglia di imposizione fiscale non sarebbe stata aggiornata, con un netto stimato di 15.399 euro. La successiva compensazione fiscale portò il salario minimo a un livello superiore rispetto a quanto previsto.

La nuova richiesta del Governo

La ministra del Lavoro Yolanda Díaz ha annunciato che quest’anno verranno richiesti agli esperti due calcoli distinti: uno per uno SMI esente da IRPF e uno per uno SMI soggetto a imposizione. L’obiettivo dichiarato è garantire il mantenimento del 60% del salario medio netto, indipendentemente dalla decisione finale del Ministero delle Finanze.

Se l’IRPF verrà applicato allo SMI, il Ministero del Lavoro compenserà con un aumento lordo più elevato affinché il lavoratore riceva lo stesso ammontare netto. In questo scenario, tuttavia, le imprese dovranno sostenere costi maggiori e lo Stato incrementerà il proprio gettito fiscale.

Uno sguardo critico sulla realtà

Al di là dei calcoli tecnici, dei criteri europei e delle tabelle del Ministero, resta un dato che nessuna commissione di esperti riesce a mascherare: 1.273 euro lordi — o 1.216 euro lordi esenti da IRPF — sono comunque una cifra insufficiente per vivere dignitosamente in Spagna, Canarie comprese.

Affitti che divorano metà dello stipendio, spesa quotidiana alle stelle, servizi sempre più costosi e una precarietà che sembra infinita. Per un single forse si galleggia, ma per una famiglia anche piccola, con un solo reddito, significa affondare. Inoltre quando ci sono figli, disabilità, trasporti o mutui, quei numeri “da grande conquista sociale” diventano una barzelletta amara.

Lo SMI viene spesso presentato — dentro e fuori dalla Spagna — come il fiore all’occhiello della politica sociale del Governo, un esempio da imitare. Una narrazione comoda, ripetuta in Italia come slogan: “In Spagna sì che tutelano i lavoratori, non come da noi”. Peccato che la realtà, quella dei quartieri, delle buste paga, delle file ai supermercati discount, racconti tutt’altro.

Il salario minimo è una cartina di tornasole: mostra il problema, ma non lo risolve. Non cura le piaghe sociali della Spagna, che continuano a sanguinare tra stipendi troppo bassi e un costo della vita sempre più alto.