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Pillole di sport

di Claudio Palumbo

LA DONNA E LO SPORT

La pratica dello sport è un diritto che si acquisisce sin dalla nascita, ma a questo punto la domanda sorge spontanea: La pratica sportiva è uguale per tutti?

Ebbene no, sin dall’antichità la partecipazione del gentil sesso ha destato qualche perplessità.  A volte ammesse, a volte rifiutate. Molte leggende raccontano di donne travestite da uomo.

In epoca moderna la marginalità tocca l’apice dell’inverosimile; il Romanticismo ottocentesco aveva creato un’immagine languida e malinconica della donna, addirittura malata e dodici volte impura.


Un forte riscatto lo si deve alla tenacia di Alice Joséphine Marie Milliat, nuotatrice, canoista, dirigente sportiva francese e cofondatrice della Federazione Sportiva Femminile Internazionale.

Le lotte infinite della Milliat appassionano le sportive di tutto il mondo, e dopo il successo indiscusso dei Mondiali Femminili di Parigi 1922 e Göteborg 1926, il Comitato Internazionale cambia idea e ammette alcune discipline al femminile ai Giochi Olimpici di Amsterdam 1928, ma non basta. La FSFI ripropone i Mondiali a Praga nel 1930. L’ultima della serie, a partire da Londra 1932 gli organizzatori dei Giochi tengono conto anche dell’agguerrita  partecipazione delle donne.

Le prime presenze erano minime, ma la battaglia sociale e politica aveva concepito un cambiamento, che vedrà i suoi frutti solo alla fine del XX secolo.

ELIZABETH ROBINSON, LA DONNA CHE HA VISSUTO DUE VOLTE

La prima donna a vincere l’oro nei 100 metri piani ad Amsterdam 1928 a soli sedici anni.

L’americana è riuscita ad avere la meglio nel serrato confronto con le canadesi e le “ragazze di Mussolini”, lo squadrone italiano.

Qualche mese dopo il rientro in patria è vittima di un incidente aereo; pronta per l’inumazione sarà il becchino a sentire il respiro. Betty si risveglia dal coma, si rimette in piedi e compie il miracolo, vince il secondo oro olimpico nella staffetta 4×100 a Berlino 1936.

TREBISONDA VALLA, DETTA ONDINA

L’atleta bolognese della SEF Virtus Bologna è stata la prima italiana a vincere l’oro olimpico negli 80 metri ostacoli a Berlino 1936.

L’originalissimo nome è stato scelto dal padre come omaggio all’omonima città turca, da lui considerata la più bella del mondo.

La Valla era versatile, aveva grandi doti per le gare di velocità, per l’appunto ad ostacoli e salto in alto. Ben presto diventa un esempio di sana e robusta gioventù per l’Italia fascista, mentre la stampa la definiva il sole in un sorriso.

In effetti, all’età di 20 anni e 78 giorni è stata la più giovane atleta italiana a vincere una medaglia d’oro. Solo nel 2004 è stata battuta da Elena Gigli, portiere del Setterosa campione olimpico ad Atene.

Dopo la vittoria ai Giochi Olimpici e varie storpiature del particolare nome di battesimo, Trebisonda decide di farsi chiamare semplicemente Ondina.

WILMA RUDOLPH, LA GAZZELLA NERA

Wilma è ventesima di 22 figli. Da piccola si ammala di scarlattina che degenera in poliomielite perdendo l’uso della gamba sinistra. Non demorde, è ostinata e vanta un’enorme forza interiore. Si allena tutti i giorni e arriva ai Giochi di Roma 1960. La bellezza delle sue falcate incanta il pubblico e in modo particolare due maschietti; il nostro Livio Berruti e un ragazzotto del Kentucky chiamato Cassius Clay. In pista Wilma sarà la protagonista assoluta e vincerà l’oro nei 100m, 200m e la staffetta 4×100.

NON TUTTE LE NAZIONI ACCETTANO LA PARTECIPAZIONE FEMMINILE

Purtroppo in molti paesi mussulmani le donne non praticano lo sport, oppure possono ma soltanto davanti ad altre donne. In Tunisia per esempio, le poche sportive devono coprire i capelli e tutto il corpo con un velo. Per loro è una questione di etica morale e di religione.

Alle Olimpiadi di Barcellona 1992 la mezzofondista algerina Hassiba Boulmerka ha pagato con la propria vita la sfida ai tabù secolari. Il suo peccato mortale; aver vinto l’oro correndo a gambe scoperte.

LA PICCOLA EROINA

Il nome Nadia di per sé può ricordare chiunque; un’amica, la vicina, mia suocera. Ma Nadia Comaneci fa ricordare la perfezione e la bellezza artistica dimostrata alle Olimpiadi di Montreal 1976 da quella ragazzina di 14 anni. Sette 10 in dieci performance, unica volta nella storia che la giuria assegna un voto simile. Dopo qualche apparizione internazionale il buio, le costrizioni sessuali, la dittatura, fin quando un vero amico l’aiuta a scappare lontano. Gli Stati Uniti d’America l’accolgono, le offrono conforto e finalmente può vivere una vita serena, in pace.

ELLEN MAC ARTHUR, LA PICCOLA ROCCIA

La regina dei mari, la donna più veloce. Con poche risorse per il semplice fatto che nessuno credeva in lei, è stata capace di vincere il giro dell’Inghilterra in solitaria, con una barca a vela di soli 7 metri.

Nel 2005 all’età di 28 anni Ellen batte il record mondiale di circumnavigazione del globo no-stop in solitaria: 27.300 miglia marine in 71 giorni, 14 ore, 58 minuti e 33 secondi.

LE NOSTRE RAGAZZE

Il mondo dello sport non è mai stato tenero con la donna, in genere relegata ad un ruolo secondario. La fisicità e le imprese dei maschietti da sempre hanno oscurato il duro lavoro svolto dalle nostre ragazze. Solo loro conoscono l’immensa fatica, le lacrime, le ingiustizie.

In molte ci hanno provato, qualcuna ci è anche riuscita.

Nulla da invidiare a lor signori compagni di avventura, in ogni disciplina l’Italia ha avuto e ha tutt’ora le proprie punte di diamanti, che ci regalano grandi emozioni ad ogni gara.

Lea Pericoli, 27 titoli italiani nel palmarés. A lei sono legate le prime vittorie internazionali nel tennis.

Sara Simeoni, oro a Mosca 1980. Un esempio per tutti. Una che non si adegua, emarginata dal sistema, ma capace di compiere l’impresa allenandosi a Formia in compagnia di un altro duro; Pietro Mennea.

Novella Caligaris, conquista le prime medaglie olimpiche per il nuoto italiano.

Josefa Idem, canoista tedesca naturalizzata italiana è l’atleta femminile con più Giochi Olimpici disputati in assoluto. Ben 8 consecutivi e 36 medaglie conquistate complessivamente.

Deborah Compagnoni, trionfa nello sci. Quattro medaglie olimpiche e 3 Mondiali vinti.

Valentina Vezzali, fiorettista di Jesi, mamma poliziotta. 16 volte campionessa del mondo, 6 ori olimpici, 13 Europei, 5 Universiadi e 2 Giochi del Mediterraneo.

Federica Pellegrini, simbolo della donna del 2000. Indipendente, sfrontata, social, vince la  medaglia d’argento ad Atene a soli sedici anni, si aggiudica la medaglia d’oro a Pechino 2008. Poi 4 Mondiali e 6 Europei.

E sono tante, tantissime le storie da raccontare e dalle quali imparare, ma sorge spontanea un’altra domanda: Perché lo sport italiano non ama le donne?

In Italia, la legge 91/1981 del 23 marzo sul professionismo sportivo, vieta alle donne di accedere a tale categoria e nonostante i risultati di riguardo ottenuti rimangono delle dilettanti.

Secondo la senatrice Josefa Idem, firmataria di un disegno di legge atto a modificare l’attuale 91/81, basterebbe aggiungere una parola nel testo e fare riferimento ad atleti e atlete, e aprire alla possibilità anche alle donne di accedere alla categoria pro.

Evelina Christillin, presidente del Comitato Torino 2006 denunciava: “Le federazioni quando si tratta di votare scelgono il criterio della cooptazione, invece quando si decide di portare avanti un progetto in fretta, guarda caso viene scelta una donna”.

Intanto, il presidente del CONI Giovanni Malagò si pronuncia a favore delle famigerate quote rosa, ma fa un monito: “Sono poche le donne che si candidano per i consigli federali” e aggiunge: “Per quanto riguarda la legge, noi possiamo dare solo delle indicazioni, ma capisco che la strada da fare è ancora molto lunga”.

Mi auguro che la legge venga modificata a breve e finalmente respirare giustizia. Intanto, forza ragazze e non perdetevi d’animo. L’uomo senza la donna non è nessuno.