Di Italiano alle Canarie

Non servono statistiche complesse per capire che la Spagna sta scivolando lungo un piano inclinato di impoverimento. Basta guardarsi attorno: il parco auto invecchiato, i salari stagnanti, la normalizzazione dei sussidi. Segnali chiari di una deriva che si fa ogni giorno più evidente.

Il declino silenzioso

Nel 2005 solo il 4% delle auto in Spagna aveva più di quindici anni; oggi sono il 42%. Il modello più venduto è la Dacia, come nei Paesi economicamente più fragili. Molte delle Dacia circolanti non sono neppure nuove: oggi, in Spagna, le auto non si rottamano più a quindici anni, ma a venti.

In un articolo apparso su “El Español” si indicava il parco macchine spagnolo come specchio fedele di un depauperamento progressivo e silenzioso che sta consumando il Paese.

Oggi circolano ancora cinque milioni di auto con targa provinciale, risalenti all’epoca delle pesetas, spesso senza revisione e nascoste sulle strade secondarie.


Rispetto al resto d’Europa, il parco auto spagnolo somiglia ormai a quello nordafricano. I bei veicoli visibili a Madrid sono spesso leasing aziendali o proprietà di stranieri.

Le cause profonde

Metà della responsabilità ricade sulla transizione energetica, che impone cambi costosi fuori dalla portata della classe media. L’altra metà deriva dalla distruzione interna della ricchezza nazionale, iniziata con il primo governo Zapatero nel 2004 e culminata con l’attuale premier: più spesa pubblica, meno potere d’acquisto. La crisi finanziaria globale del 2008 aggravò bruscamente una situazione già indebolita da una gestione pubblica imprudente.

Sussidi insufficienti e produttività in calo

Il dibattito politico si è concentrato su misure assistenziali come il Reddito Minimo Vitale, mentre tredici milioni di spagnoli sono a rischio esclusione sociale. Il progressismo celebra l’aumento della dipendenza dai sussidi, anche se oggi questo sostegno appare più come una vera elemosina di Stato: il costo della vita elevato rende il Reddito Minimo Vitale insufficiente persino a coprire le esigenze primarie di chi vive nelle grandi città, come affitto, bollette e spesa quotidiana.

Si discute di ridurre l’orario settimanale di lavoro dalle tradizionali 40 ore a 37,5, mentre la produttività, già inferiore alla media europea, continua a peggiorare.

Consumi al ribasso

Il consumo di prodotti generici è in aumento e le notizie più lette riguardano offerte da discount.

Il salario medio in Spagna è di circa 25.000 euro lordi annui, ma il salario più frequente si aggira attorno ai 18.500 euro, contro i circa 46.000 euro dell’Irlanda.

La cultura della sopravvivenza si è ormai normalizzata: bonus sociali a go go e consumi minimi. L’aspirazione a una vera classe media si è dissolta e il Paese è trascinato verso la povertà.

Una normalità impoverita

Il cittadino medio non solo non raggiunge più il tenore di vita europeo, ma nemmeno lo immagina. Proprietà privata, autonomia economica e dignità sociale sono diventati traguardi per pochi eletti.

Quando si propone che gli stipendi siano pagati al lordo per rendere evidente il peso fiscale, molti reagiscono con indignazione, ignorando quanto versano allo Stato per ricevere servizi pubblici sempre più scadenti.

La nuova povertà è quella di chi accetta tutto: una vita al ribasso, senza sogni, senza prospettive, con il solo conforto di un’utilitaria presa a rate, scarpe low-cost e lattine di birra scontate al supermercato.

In questo scenario di lenta e inesorabile decadenza, il rischio più grande non è solo economico: è culturale. È l’assuefazione alla mediocrità, l’incapacità di immaginare un’alternativa migliore.