Nonostante i fondi pubblici, la mancanza di manodopera qualificata persiste.

Di Italiano alle Canarie

Ci sono dati che spesso scorrono silenziosamente tra le righe delle notizie, offuscati da narrazioni consolatorie come quella dei “poveri ma felici”. Eppure, due statistiche significative sul mercato del lavoro canario sono passate quasi inosservate. Secondo quanto riportato da “La Provincia”, tre canari su quattro avrebbero scelto di diventare lavoratori autonomi perché non riuscivano a trovare impiego come dipendenti. La seconda, ancora più inquietante, mostra che da oltre trent’anni si finanzia con denaro pubblico la formazione gestita da imprenditori, eppure si continua a sostenere che mancano lavoratori locali qualificati.

Trent’anni di formazione, ma i canari restano fuori

Dai tempi in cui l’Istituto Canario di Formazione e Impiego (ICFEM) elargiva fondi “a pioggia” alle confederazioni di imprenditori e sindacati statali per migliaia di corsi di formazione, si sente ripetere che alle Canarie manca manodopera qualificata. Trent’anni di corsi, con questi “agenti sociali” come enti collaboratori, eppure si importano camerieri dall’estero? Due scuole alberghiere di alta direzione turistica e si assumono stranieri? Due scuole pubbliche di lingue, centinaia di corsi finanziati, e ancora si ricorre ad animatori stranieri? E mentre si concedono sgravi fiscali al cinema estero, i canari non vengono scelti nemmeno come comparse a causa del loro accento.

La realtà sembra chiara: la formazione professionale non è mai stata pensata per impiegare i canari, bensì per sostenere una rete clientelare.

Discriminazione sistemica


Va anche considerato che, secondo alcune associazioni datoriali, i motivi della scarsa presenza dei canari nel mercato del lavoro risiederebbero nella mancanza di profili adeguatamente preparati o nella scarsa mobilità geografica e flessibilità. Tuttavia, queste argomentazioni sembrano scontrarsi con i dati sulla diffusione dell’autoimpiego, rendendo necessaria una riflessione più profonda sulle vere cause di esclusione del lavoratore locale.

Se oggi i canari sono una minoranza nei settori lavorativi chiave dell’arcipelago, le spiegazioni possibili possono essere: una discriminazione strutturale, oppure le aziende beneficiarie dei fondi pubblici per la formazione li hanno utilizzati senza mai realizzare l’obiettivo reale: assumere lavoratori locali.

Autonomi per necessità, non per vocazione

Il quadro si complica ulteriormente se si incrociano i dati sulla presunta “scarsa formazione” con quello secondo cui il 75% dei 140.000 autonomi canari ha scelto questa strada per mancanza di alternative lavorative. Come si spiega che un canario sia qualificato per gestire un’attività in proprio, ma non ritenuto idoneo per un impiego dipendente?

Un modello economico che esclude i locali

Qui si svela il vero volto del sistema: un discorso imprenditoriale costruito per escludere. Il canario non rifiuta il lavoro, ma rifiuta condizioni salariali inaccettabili. Assumere manodopera straniera, spesso proveniente da paesi con situazioni socioeconomiche peggiori, è più conveniente per chi sfrutta.

Eppure, negli anni ’60, ’70 e ’80, settori interi come edilizia e turismo sono stati costruiti da canari meno formati di oggi. Oggi invece, quegli stessi ruoli vengono loro negati. Intanto, migliaia di giovani emigrano e trovano impiego all’estero nei settori che nella loro terra vengono loro negati.

Una contraddizione strutturale

Se un territorio capace di accogliere 16 milioni di turisti l’anno non riesce a offrire lavoro ai propri abitanti, il sistema non funziona!  È un inganno strutturale, in cui i fondi pubblici per la formazione non servono a creare occupazione locale, ma a giustificare l’importazione di lavoratori da fuori, soprattutto dalla Spagna e dall’Unione Europea.

Conclusione

Se davvero vogliamo che i canari lavorino nella loro terra, servono politiche trasparenti, formazione orientata al lavoro reale e un sistema che non escluda chi è nato e cresciuto nell’arcipelago. Continuare a giustificare l’esclusione con stereotipi o inefficienze strutturali è un lusso che una terra turistica non può permettersi.