Quando mangiare sano diventa un lusso quotidiano

Di Italiano alle Canarie

Una frutta simbolo a peso d’oro

Il prezzo del platano delle Canarie, frutto per eccellenza dell’arcipelago, ha raggiunto livelli storici: questa settimana la media è di 3,40 euro al chilo, fino a 3,65 euro in alcuni supermercati. Anche i platani di qualità inferiore, sfusi e di calibro 2, raramente scendono sotto i 2 euro. Questa situazione ha trasformato il loro costo in un argomento quotidiano tra la popolazione isolana.

Un mercato che riflette il disagio

Il mercato di Altavista, a Las Palmas de Gran Canaria, riflette questa preoccupazione. Operatori con mezzo secolo di esperienza familiare nella vendita di frutta e verdura, spiegano che il problema non è solo il platano. L’aumento dei prezzi colpisce tutto il carrello della spesa: un potaje canario tradizionale non si può più preparare per meno di 30 euro.

Il potaje canario, piatto simbolo della cucina popolare dell’arcipelago, nasce come zuppa a base di ingredienti semplici e accessibili: patate, zucca, carote, fagiolini, mais e legumi. Pensato per durare più giorni e sfamare molte bocche con poco, rappresenta da sempre una risposta economica e nutriente alla scarsità.


Oggi però anche questi ingredienti hanno raggiunto prezzi elevati: le carote costano 4,60 €/kg, i fagiolini 6,80 €/kg, le zucchine 2,80 €/kg e le patate 2,20 €/kg. La frutta di stagione per una settimana può far salire il conto fino a 60 euro.

Nonostante l’aumento dei salari del 2,9% nel 2024, l’IPC è cresciuto del 2,8%, senza che questo si traduca in un reale miglioramento del potere d’acquisto. Molti clienti hanno ridotto le quantità acquistate. In passato si vendeva il 70% delle scorte di platani, oggi appena il 40-50%.

La situazione costringe i consumatori ad adattare le ricette. Al mercato, il 70% dei prodotti è di origine canaria, mentre il resto proviene dalla penisola o dall’estero.

Paradossalmente, però, accade spesso che proprio i prodotti locali, pur essendo a chilometro zero, risultino più costosi di quelli importati. I motivi sono molteplici: produzioni più limitate, costi agricoli più elevati, meno infrastrutture logistiche e filiere poco competitive rispetto alla grande distribuzione. Così, mangiare locale, che un tempo rappresentava un’opzione economica e sostenibile, oggi è diventato un lusso.

Il margine di profitto per i venditori è ridotto, e i prodotti invenduti vengono buttati o, nel migliore dei casi, ceduti tramite piattaforme come Too Good To Go, per evitare sprechi alimentari.

Carne per pochi, prezzi per molti

Nel banco carne si conferma lo stesso schema: lombata per puchero a 9,95 €/kg, pollo ruspante a 4,85 €/kg (intero) e 11,50 €/kg (petto). Un lotto di carne per una famiglia di quattro persone per due giorni costa tra i 25 e i 30 euro.  Anche se la carne di qualità continua ad avere richiesta, i clienti adattano gli acquisti: invece di un chilo di entrecot a 15,95 euro, si scelgono cinque euro di carne da spezzatino.

In definitiva, mangiare bene alle Canarie è sempre più caro. La popolazione, in particolare pensionati e famiglie, si trova ogni giorno davanti al dilemma tra mantenere una dieta equilibrata o cedere all’aumento dei prezzi. In un contesto dove la scelta degli alimenti è sempre più dettata dal costo, si rischia di compromettere la qualità dell’alimentazione. Quando il prezzo diventa il primo criterio, spesso si finisce per rinunciare a prodotti sani e nutrienti a favore di alternative più economiche ma meno salutari.

Una riflessione necessaria: dove stiamo andando?

Davanti a un’evidente impennata dei prezzi alimentari e a salari che restano stagnanti, è lecito chiedersi se siamo di fronte solo a dinamiche di mercato o a un modello economico che, volontariamente o meno, sta erodendo la capacità di sussistenza delle famiglie. Gli aiuti pubblici, spesso annunciati come soluzione, raramente compensano il divario reale tra costo della vita e redditi disponibili, diventando più un cerotto temporaneo che una risposta strutturale.

Il rischio concreto è quello di assistere a un impoverimento generalizzato, dove sempre più persone sono costrette a dipendere dai sussidi statali per sopravvivere, senza prospettive di autonomia economica. In un sistema dove la qualità della dieta dipende dal potere d’acquisto, si accentuano disuguaglianze già esistenti e si mina il diritto a una vita dignitosa.

È tempo di interrogarsi su chi trae beneficio da questa situazione e se non sia necessario rivedere alla radice le politiche agricole, distributive e salariali. La crisi dei prezzi non è solo un fatto economico: è un campanello d’allarme sociale. E come tale, richiede attenzione, partecipazione e soprattutto consapevolezza da parte di tutti noi.