Fatin, madre single e magazziniera: “Guadagno 1.080 euro, ho smesso di comprare il detersivo per la lavatrice perchè devo riparare i fornelli: altrimenti non possiamo mangiare”
Di Italiano alle Canarie
Il caso emblematico di una lavoratrice povera in Spagna: il 95,4% del suo stipendio va in affitto, bollette e cibo. “Lavoro solo per sopravvivere”.
In un articolo apparso qualche tempo fa su “Lavanguardia” quotidiano nazionale spagnolo, con il titolo: “Fatin, madre soltera y moza de almacén: ‘Ingreso 1.080 euros, he dejado de comprar detergente para la lavadora porque tengo que arreglar la vitro para comer’”, certifica e conferma una realtà scomoda: in Spagna, anche con uno stipendio regolare – seppur minimo – non si riesce a vivere dignitosamente. Il caso di Fatin evidenzia in modo lampante lo stato di precarietà diffusa e mette in discussione l’utilità delle politiche assistenziali finora adottate, nonostante le dichiarazioni e le promesse con cui molti politici e opinionisti continuano a riempirsi la bocca.
Questo caso dovrebbe anche spazzare via ogni certezza – per quanto effimera – che molti italiani nutrono nei confronti della Spagna. Chi ambisce a trasferirsi pensando di migliorare facilmente la propria condizione economica dovrebbe sapere che anche qui la precarietà è profondamente radicata, proprio come in Italia. Se il tuo profilo lavorativo è medio-basso, difficilmente sarà la Spagna a risollevarti. E questo vale non solo per la Spagna peninsulare, ma anche per le isole, comprese le tanto idealizzate Canarie, dove il costo della vita cresce, gli stipendi stagnano e le opportunità reali per chi parte dal basso sono tutt’altro che garantite.
Infatti, quando si parla di povertà in Spagna, spesso si pensa ai senzatetto o agli immigrati in situazioni precarie. Tuttavia, la realtà è molto più ampia e coinvolge fasce di popolazione che, pur avendo un lavoro regolare, non riescono a coprire i bisogni fondamentali né a condurre una vita dignitosa.
Parliamo della cosiddetta classe bassa, o dei lavoratori poveri: persone che, pur lavorando a tempo pieno, sono intrappolate nella precarietà a causa di salari minimi o insufficienti, senza possibilità di risparmio né di stabilità economica. Una forma di povertà spesso invisibile, ma che merita attenzione.
La storia di Fatin, madre single che vive con la figlia adolescente, denuncia pubblicamente la difficile situazione in cui si trova, nonostante abbia un impiego a tempo pieno.
Fatin lavora come magazziniera e percepisce 1.080 euro netti al mese, ovvero il salario minimo previsto in Spagna. Di questa cifra, 600 euro (il 55,6%) vengono destinati all’affitto. I restanti 480 euro sono assorbiti dalle spese essenziali, come acqua e luce. Spende inoltre circa 150 euro mensili per il cibo. In totale, il 95,4% del suo stipendio è necessario per la pura sopravvivenza: le restano solo 50 euro, una cifra insufficiente per affrontare qualsiasi imprevisto.
La donna vive con la figlia in un piccolo appartamento con una sola stanza da letto e un salotto. Non c’è riscaldamento, per cui dipendono da una stufetta elettrica nei mesi invernali. “Non posso accendere troppo la stufetta, perché la bolletta della luce è altissima”, racconta.
A Fatin si è rotto il piano cottura ma le servirebbero 100 euro per aggiustarlo, ma per lei è una spesa fuori portata. Anche tinteggiare la casa è un’impresa: lo fa a tratti, quando riesce a racimolare qualcosa.
Fatin racconta: “per me è un problema enorme. Ho smesso di comprare il detersivo per la lavatrice per mettere da parte i soldi e riparare i fornelli. Altrimenti non possiamo mangiare”, confessa con amarezza. Si sente frustrata all’idea di lavorare duramente senza vedere i frutti del proprio impegno. “Anche se lavoro, mi sento poverissima. Sopravvivo, non vivo. Lavoro solo per lavorare, perché lo stipendio non lo vedo proprio: va tutto in casa e spesa”.
Eppure, la Spagna è stata indicata come il paese con la maggiore crescita economica dell’eurozona nel 2024. Tuttavia, questa crescita va contestualizzata: non è stata né omogenea né redistributiva, ma piuttosto a “macchia di leopardo”, concentrata in settori o aree specifiche, senza ricadute concrete per le fasce più vulnerabili della popolazione. E infatti, nonostante l’apparente boom economico, la Spagna registra una percentuale di popolazione a rischio povertà superiore a quella dell’Italia, piazzandosi al quarto posto tra i paesi dell’Unione Europea, subito dopo Bulgaria, Romania e Grecia. Alcune fonti parlano persino di tassi superiori al 26%.
Secondo il professore universitario Luis Ayala, intervistato in merito al problema sollevato nell’articolo, la crescita economica non ha portato benefici ai più vulnerabili, ma ha rafforzato le disuguaglianze a favore delle fasce più ricche. “Immaginiamo una società di dieci persone che si dividono una torta in dieci fette. Non è detto che ognuno debba mangiare la stessa quantità, ma oggi chi ha di più si prende quasi un quarto dell’intera torta, mentre chi ha meno non riesce nemmeno a mangiare tutta la sua fetta. È un livello di disuguaglianza ingiusto e insostenibile”.
Conclusione
Quindi, agli italiani che vedono nella Spagna una nuova vita e una via d’uscita dalla precarietà: attenzione, perché qui non è oro tutto ciò che luccica. La realtà è che anche nel “paese della crescita” si può lavorare a tempo pieno e restare poveri. E in certi casi, molto più poveri di quanto si possa immaginare. Prima di inseguire il sogno spagnolo, meglio svegliarsi dalla favola.
Informarsi, valutare attentamente, confrontare dati reali prima di fare il passo: questa dovrebbe essere la parola d’ordine. Ma, come spesso accade, la sottile leggerezza dell’essere (italiano) tende a ignorarla. E così si parte col cuore pieno di speranze e le tasche, spesso, destinate a rimanere vuote.