Affitti alle stelle, trasporti lenti e salari bassi: il vero volto dell’occupazione turistica

Di Italiano alle Canarie

«Prendo due guagua per scendere al Sud e torno a casa di notte. Lavorare nel turismo non conviene»: lo sfogo di un lavoratore del settore

Prendendo spunto dagli articoli della stampa locale canaria, questo approfondimento racconta la situazione complicata di chi vive e lavora nel settore turistico.

Lavorare in questo settore alle Canarie significa, in molti casi, fare il pendolare dal nord al sud dell’isola, ed è ormai la normalità. Il costo proibitivo degli affitti nelle zone turistiche costringe molti lavoratori a vivere in aree periferiche o poco ambite, rendendo i lunghi spostamenti quotidiani l’unica opzione possibile per raggiungere il posto di lavoro. Questo fenomeno, sempre più radicato, solleva interrogativi sul futuro del settore e sulla sostenibilità di un modello che si regge sul sacrificio silenzioso di migliaia di lavoratori. In questo articolo vengono raccontate alcune delle loro storie.

Negli ultimi anni, gli imprenditori del settore alberghiero delle Canarie hanno ripetutamente lamentato la difficoltà di trovare personale qualificato e non qualificato per lavorare nelle loro strutture. Una contraddizione evidente, considerando che il turismo è senza dubbio il motore economico dell’arcipelago e dovrebbe rappresentare un’opportunità di lavoro stabile e dignitosa.


Ma qual è la causa di questa crisi occupazionale? Il problema è noto da tempo, ma nessuno sembra voler affrontarlo seriamente, lasciando che la situazione si perpetui senza prospettive di cambiamento.

Pedro (nome di fantasia) vive nel quartiere di Schamann, a Las Palmas de Gran Canaria. Si tratta di una zona periferica, nata come quartiere di edilizia popolare durante il franchismo, dove gli affitti sono ancora relativamente accessibili. I media locali lo definiscono spesso un quartiere “conflictivo”, con servizi limitati e problematiche sociali radicate. Ogni giorno deve prendere due guagua per raggiungere il posto di lavoro, partendo da casa con due ore di anticipo. Al ritorno, impiega altre due ore. A volte la prima guagua è talmente piena che non accetta altri passeggeri, costringendolo ad attendere la successiva.

La situazione è simile anche per molte cameriere ai piani. Maria (nome di fantasia), che vive a Telde, spende circa 300 euro al mese in benzina per recarsi al lavoro nel sud dell’isola. Racconta: “È durissimo. Molte ragazze mandate dalle agenzie interinali non resistono al carico di lavoro. Ho resistito solo perché avevo davvero bisogno del lavoro. Altrimenti, avrei mollato. Chi resta lo fa per necessità”.

Essendo madre single, Maria non può affidarsi ai trasporti pubblici a causa di ritardi e carenze, e deve quindi spostarsi in auto, sostenendo un costo importante. Riconosce però che molte colleghe usano il trasporto pubblico, perdendo ogni giorno ore preziose. Una possibile soluzione sarebbe il ripristino del servizio di trasporto organizzato da parte delle aziende, con fermate in zone ad alta densità di lavoratori come Las Palmas, Telde o Vecindario. Una trattenuta minima sullo stipendio basterebbe a coprire il costo, con beneficio reciproco.

In questo contesto, molti giovani mostrano una crescente riluttanza a lavorare nel settore turistico, ritenuto poco conveniente non solo per la distanza, ma anche per l’elevato grado di sacrificio richiesto, giudicato eccessivo soprattutto da chi non ha vincoli economici o familiari. Il traffico costante sulla GC-1 rappresenta un problema strutturale che, se non affrontato dalle istituzioni, contribuisce a trasformare un turno di otto ore in una giornata di dodici o tredici. È un disagio arcinoto, su cui si discute da anni senza cavare un ragno dal buco. Le soluzioni restano sulla carta, mentre i disagi ricadono quotidianamente sulle spalle dei lavoratori. In queste condizioni, non sorprende che una parte consistente della popolazione attiva non sia disposta a sostenere tali ritmi per uno stipendio che raramente supera i mille euro mensili.

Emergenza abitativa nei comuni turistici

Uno dei principali ostacoli è rappresentato dalla cronica mancanza di alloggi nei comuni turistici. Trovare una casa a prezzi accessibili risulta spesso impossibile: le poche disponibili non scendono sotto gli 800-900 euro mensili oppure vengono riconvertite in alloggi per vacanze. Anche in questo caso si tratta di un problema annoso, su cui si discute molto ma senza che vengano adottate soluzioni efficaci.

I datori di lavoro, in generale, non sembrano disposti a offrire agevolazioni concrete per alleggerire il carico abitativo dei propri dipendenti. Molto raramente si registrano casi di affitti calmierati nelle strutture aziendali o di compartecipazione ai canoni di locazione nel mercato privato. In diverse realtà turistiche fuori dalle Canarie è spesso offerto vitto e alloggio gratuito, o a prezzi simbolici, direttamente sul posto di lavoro. Ciò consente di ridurre drasticamente il pendolarismo e aumentare l’efficienza. Nell’arcipelago, tuttavia, queste misure restano l’eccezione, non la regola.

Una possibile via d’uscita potrebbe essere l’adozione di una normativa che concili gli interessi di imprenditori, lavoratori e proprietari immobiliari. Non va dimenticato che i turisti scelgono queste destinazioni per godersi la vacanza e spesso desiderano tornare. Se le criticità strutturali non verranno affrontate in modo sistemico, l’intero tessuto economico e sociale dell’arcipelago rischia di indebolirsi progressivamente.

Formazione e professionalità poco valorizzate

Nel settore turistico si osserva una scarsa valorizzazione della formazione e della professionalità. La presenza di lavoratori realmente qualificati è limitata, mentre molti impiegati considerano il lavoro nel turismo come una soluzione temporanea, senza investire in percorsi di crescita o specializzazione. Inoltre, la parità retributiva tra lavoratori qualificati e non qualificati genera dubbi sull’equità e sull’efficacia complessiva del sistema.

Le figure con competenze elevate tendono a orientarsi verso imprese esterne al contesto isolano, dove le condizioni economiche risultano più vantaggiose. Gli stipendi nel turismo canario restano infatti tra i più bassi del Paese.

A ciò si aggiunge il mancato rispetto del contratto collettivo da parte di una porzione significativa del settore imprenditoriale. Nonostante tale contratto sia considerato tra i più avanzati d’Europa, la sua applicazione concreta risulta spesso carente. In molti casi, le ore lavorative svolte durante i giorni di riposo non vengono retribuite e la facile reperibilità di manodopera a basso costo viene utilizzata come pretesto per ignorare o aggirare i diritti previsti dalla normativa vigente, contribuendo così a un generale impoverimento delle condizioni lavorative.

Conclusione

Arrivati alla fine di questo articolo, si ha l’impressione — o forse la certezza — che quanto raccontato sia ormai parte di una narrazione logora, sedimentata nella realtà quotidiana e a cui nessuno sembra voler porre rimedio. Anche chi osserva e racconta questi fatti percepisce la fatica di descrivere uno status quo che appare sempre più irreversibile. La classe imprenditoriale canaria, nel suo insieme, mostra scarso interesse a mettere in discussione un sistema che massimizza il profitto a breve termine, anche a costo di logorare lentamente il valore umano su cui si regge. Quanto al destino dei lavoratori, sembra prevalere il silenzio rassegnato di un epilogo già scritto: Amen.